Accesso ai servizi

Il Canale Cavour

Nella prima metà dell'ottocento la situazione delle irrigazioni in Piemonte si presentava piuttosto sviluppata nella parte centro-occidentale della regione (tra i fiumi Dora Baltea e Sesia), ove le campagne godevano già del beneficio di sistemi irrigui diffusi e in alcuni casi di antica pratica; ad est del fiume Sesia, invece, la condizione irrigua era ancora arretrata e di tipo oasistico. Può essere utile qui accennare che già a partire dalla seconda metà del settecento l'Europa e successivamente l'Italia erano state interessate da un forte processo di riorganizzazione del settore agricolo, da alcuni studiosi definito «prima rivoluzione verde», che doveva portare, nel volgere di alcuni decenni, l'agricoltura padana ai massimi livelli di sviluppo e di produttività. Ampia eco dei risultati raggiunti, anche dal punto di vista paesaggistico, si trova negli scritti dei viaggiatori stranieri in visita all'Italia e degli studiosi italiani della metà dell'ottocento (tra cui l'inglese Robert Campbell, il francese Albert Hèrisson e poi Carlo Cattaneo e altri). Per l'agricoltura il cambiamento si realizzò soprattutto con trasformazioni di carattere tecnico-organizzativo e di tipo strutturale, stimolate, in primo luogo, dalla necessità di aumentare i mezzi di sostentamento per una popolazione in rapida crescita.
Le trasformazioni del primo tipo si concretizzarono con l'adozione delle rotazioni colturali, effettuate anche attraverso l'introduzione di nuove coltivazioni (soprattutto leguminose foraggere, in grado di apportare sostanze azotate al terreno) e con l'abolizione del «maggese» (periodica messa in riposo del terreno); ma l'elemento veramente innovativo dell'assetto agricolo padano fu lo sviluppo delle irrigazioni e delle bonifiche, realizzate da questo periodo in poi con spirito e volontà imprenditoriali.
A favorire il processo sopra descritto si ricorda che, sempre a partire dalla metà-fine del XVIII secolo, diversi furono i provvedimenti sabaudi tendenti, da un lato, a ridurre la frammentarietà delle concessioni che riguardavano l'utilizzazione delle acque e, dall'altro, a raggiungere l'unitarietà dei metodi di misurazione e del regime giuridico che le riguardava; tutto ciò finalizzato, sul lungo periodo, ad un più razionale e generalizzato sfruttamento delle risor-se idriche e, nell'immediato, alla riduzione della notevole conflittualità esistente in materia.
Anche sotto il profilo delle strutture fondiarie si verifica-rono sostanziali mutamenti: dalla frammentazione dei feudi, awenuta in periodo napoleonico, nacque un diverso modello fondiario, che nell'area tra Dora Baltea, Ticino e Po manten-ne la dimensione aziendale ancora piuttosto rilevante, ma che in taluni casi raggiunse i limiti della polverizzazione.
Il fenomeno della conservazione della proprietà terriera entro dimensioni economicamente redditizie fu reso possibile, tra l'altro, dall'affermazione, nel XIX secolo, della figura del grande affittuario a crescente valenza imprenditoriale e capitalistica e dalla diffusione, sia pure incompleta, di un'irrigazione fondata sull'uso di grandi quantitativi d'acqua, necessari soprattutto per la coltura del riso.
E fu proprio il desiderio di estendere la coltivazione del riso, considerata assai remunerativa, anche alla parte di pia-nura che mancava della dotazione irrigua, a spingere gli abitanti di tale territorio - principali interessati - ma anche i sovrani ad occuparsi del problema.
Così si esprimeva Carlo Alberto in un proprio Brevetto del 1842 che autorizzava uno stanziamento annuale «per l'apertura di nuovi canali di irrigazione, onde condurre oltre Sesia le acque delta Dora Baltea.
Fra gli oggetti di pubblica prosperità che andiamo meditando havvi quello importantissimo dell'apertura, già anticamente immaginata dai Nostri gloriosi antenati, di nuovi canali d'irriga-zione onde condurre oltre Sesia le acque della Dora Baltea al fine di togliere alla sterilità, a vantaggio della ricchezza pubblica, vastissime superficie di terre, che giacciono incolte per diffetto d'acqua che le fertilizzi: ma le difficoltà negli andati tempi incon-trate rispetto alla esecuzione dei vasti progetti in allora formati hanno resi necessari nuovi studi in proposito, i quali essendo tuttavia ragione di gravissime considerazioni, non è pur anco possi-bile di conoscere il montante della totale occorrente spesa
È questa, si ritiene, la prima testimonianza certa della volontà - ai massimi livelli istituzionali dello Stato - di realizzare un disegno che trova le sue radici in un «discorso» di padre Tommaso Bertone da Cavaglià stampato nel 16332. Si trattava dell'idea di portare il beneficio dell'irrigazione in quantità adeguata e in forme sicure, quali solo l'attingimento da un grande fiume, il Po o la Dora Baltea, poteva garantire, nel vasto comprensorio di pianura costi-tuito dal Novarese e dalla Lomellina, che ne era ancora privo. Il problema era squisitamente tecnico: scegliere la fonte di approvvigionamento più dotata e sicura e individuare un tracciato compatibile con le quote del terreno per condurre una ingente portata d'acqua al di là del Sesia e fino al Ticino.
In una relazione dell'ing. Carlo Noè che non porta data ma che si può collocare intorno al 1854, l'autore sintetizza i termini del dibattito che da almeno un decennio si stava svolgendo sull'argomento.
«In Piemonte si ha principalmente la Dora Baltea tanto ricca d'acqua in estate e che in questa stagione presenta il fenomeno di essere in piena permanente per la minore inclinazione dei raggi solari rispetto ai ghiacciai del Monte Bianco e del gran San Bernardo dai quali prende origine, versando nel Po 300 e più metri cubi d'acqua d’avanzo dopo servite le derivazioni dei Canali Demaniali da esse derivati e di altri di privata spettanza per un volume complessivo di cento e più metri cubi il Tanaro anch'esso ben dotato di acque perenni, e il Po, il gran collettore di essi fiumi e di tutte le riviere discendenti nel gran bacino dell'Italia Settentrionale che si racchiude fra le radici delle Alpi e quelle degli Apennini, tutti tre alimentati dalle nevi perpetue delle Alte Alpi scorrono oziosamente sulla vasta pianura e portano infruttuoso al mare pressochè intero il volume delle loro acque, attendendo che l'industria umana accorra a profittarne secondo le disposizioni in cui la natura ce le presenta come sorgenti d'una immensa ricchezza a cui finora é mancato chi sapesse e potesse trovar modo e capitali per farla valere a vantaggio comune di tutta la Società» (3).
L’idea di derivare portate irrigue per la Lomellina poteva essere concretizzata, secondo studi e progetti anche molto antichi, prolungando il canale di Cigliano, ora Depretis, oltre il Sesia, oppure costruendo un nuovo canale che dopo aver attraversato il lago di Viverone «onde ben anche giovarsi delle acque di questo nella scarsità che soffrono ordinariamente in primavera le acque del/a Dora, e traver-sando per gallerie i colli orientali del Canavese, piegasse poscia verso tramontana per raggiungere il basso piano di Saluzzola e mettere capo alle baraggie Biellese e Vercellesi [...] onde fornir loro per via irrigazione e trovar foce alla Sesia per impinguare le acque sempre scarse in estate a van-taggio delle terre poste fra Sesia e Ticino» (4) (progetto Costantino Vigitello e Ignazio Michela). Il progetto si dimostrò subito irrealizzabile sia per problemi geologici che altimetrici, né sorte migliore ebbe la successiva proposta di utilizzare l'esistente Naviglio di Ivrea, opportuna-mente ampliato, per superare i rilievi delle colline del Canavese senza dover ricorrere allo scavo di gallerie. Da successivi studi parve tornare nuovamente attuale l'idea di potenziare e prolungare il canale di Cigliano fino al Sesia.


Gli studi di Francesco Rossi

La svolta decisiva nella ricerca della soluzione ottimale al problema si ebbe con il progetto dell'agrimensore vercellese Francesco Rossi, già agente generale delle proprietà del marchese Michele Cavour, padre di Camillo, il quale con felice intuito e in controtendenza rispetto ad un'altra opinione diffusa, secondo cui per irrigare la Lomellina si dovesse attingere acque dal Ticino, pensò e progettò la costruzione di un canale che derivando acqua dal Po dopo l'immissione della Dora Baltea, in territorio di Crescentino, attraversasse il Sesia tra Albano e Oldenico e proseguisse attraverso il Novarese fino al Ticino.
Nel 1842 il Rossi iniziò il rilievo altimetrico del territorio interessato, con il solo ausilio di un livello «a bocce o ad acqua», per dimostrare la validità della sua idea, basata sul presupposto che il Sesia si trovasse ad una quota inferiore al Po alla sezione di Crescentino. L'impresa durò cinque anni e fu coronata dal successo.
Ma nel frattempo, prima della conclusione della fatica del Rossi, l'allora Ministro delle Finanze Ottavio Thaon di Revel aveva incaricato gli ingegneri, Carlo Noé e Epifanio Fagnani di verificare la fattibilità di un canale che dal Po conducesse acqua a vantaggio del Novarese e della Lomellina.
A questo punto occorre ricordare il dissidio profondo e insanabile che caratterizzò la vicenda e i rapporti tra l'agri-mensore Rossi e il Governo Sabaudo, nella persona, soprattutto, del conte Cavour.
Il figlio di Francesco Rossi, Antonio, scrisse e pubblicò un «libello» (6) che aveva principalmente lo scopo di rivendicare la ricompensa promessa e mai effettivamente riconosciuta al padre per l'attività progettuale svolta.
In tale memoria il Rossi denunciò un radicale cambio di atteggiamento del Governo (di cui era Ministro il Cavour) e dello stesso Sovrano Carlo Alberto tra la fase iniziale della progettazione - vista con favore e incoraggiata - e il momento conclusivo della fatica del padre, quando venne reso noto l'effettivo tracciato che il nuovo canale doveva seguire.
Ed il motivo di questo mutamento, secondo il Rossi, stava proprio nella delineazione del tracciato, che avrebbe tagliato in due esatte metà la proprietà Cavour a Leri.
Le parole con cui viene espressa questa, secondo l'autore, «verità storica» sono molto forti e piene di rancore, ran-core che, non si fatica a capire, era dovuto al fatto che le incombenze successive a questo primo progetto di grande massima erano state tolte al Rossi e affidate all'ing. Noè e, soprattutto, che era mancato il riconoscimento, in termini di onori e di corrispettivo economico, dei meriti dello stesso Francesco Rossi.

Gli studi di Carlo Noè

In effetti l'Amministrazione Finanziaria aveva già affi-dato nel 1844, come si e' detto, ai due ingegneri Noè e Fagnani una sorta di verifica della fattibilità di «derivare un Naviglio dal fiume Po presso Crescentino, il quale traversan-do l'agro Vercellese, porti il beneficio della irrigazione nelle vaste regioni tuttora asciutte delle Provincie di Novara e Lomellina». Incarico pressoché identico venne anche affidato ad una Commissione di quattro ingegneri (Pietro Bosso, Carlo Noè, Ignazio Michela e Mercalli).
Le conclusioni della verifica furono anticipate in una relazione di Noè dello stesso 1844, in cui concorda piena-mente con le ipotesi di Francesco Rossi, alla luce delle verifiche altimetriche e delle livellazioni tra il punto di presa, in territorio di Crescentino e il fiume Sesia, concludendo entusiasticamente: «la magnifica opera, di cui si tratta non avrà altra di simil genere in Europa, che gli potrà star a fron-te: e la sua formazione segnerà l'epoca la più fortunata nella storia dei miglioramenti procurati all'agricoltura ed al commercio dall'augustissima e beneficentissima Reale Casa di Savoja ai suoi ognora felicitati sudditi».
La spesa prevista per la nuova opera, secondo il preventivo di massima, assommava a 10 milioni di lire.
In questa relazione era previsto l'utilizzo del nuovo canale anche per la navigazione, oltre che per l'irrigazione e veniva ipotizzato un risparmio sui costi di trasporto delle derrate tra Torino e Milano (attraverso il Po, il nuovo cana-le, il Ticino e il Naviglio Grande), tale da compensare le spese annue di manutenzione del canale stesso.
Nella relazione successiva, del 1845, sottoscritta da tutti i membri della Commissione incaricata di verificare il pro-getto Rossi (8) veniva suggerita l'opportunità di spostare la presa del canale più a monte nel Po, e ciò con il duplice scopo di evitare i perturbamenti idraulici alla presa del canale che potrebbero derivare dall'immediata vicinanza dell'immissione della Dora Baltea in Po, e contemporaneamente avere un punto di partenza del canale a quota più elevata e quindi di maggior garanzia per avere una giusta pendenza del tracciato del canale verso il Sesia.
Infine, dalla relazione Noè e Fagnani del 1846 si evince che la soluzione ottimale per la nuova derivazione doveva essere individuata nella sezione del Po posta a circa 550 metri a valle della confluenza della Dora nel Po.
Gli stessi ingegneri presentarono una stima preventiva delle spese occorrenti per la realizzazione del canale, datata 25 agosto 1846, assommante a 8.878.886 lire.
Le vicende belliche e politiche del 1848 interruppero bruscamente il dibattito nel frattempo sorto tra fautori e oppositori del progetto.
Superate le vicissitudini della prima guerra di indipendenza, il conte Camillo di Cavour; Ministro dell'Agricoltura e del Commercio, affidò, nel 1853, proprio al Noè l'incarico ufficiale di esaminare il progetto Rossi e di riferirne allo stesso Cavour; per l'esperienza nel frattempo maturata dal Noè sull'argomento e per la sua conoscenza dei precedenti progetti.
Sembra opportuno a questo punto fare un breve cenno alla figura dell'ing. Carlo Noè, il vero artefice del canale Cavour.
Dipendente dell'Azienda Generale delle Regie Finanze dal 1838, Carlo Noè fu Ispettore Ingegnere e Direttore Generale Tecnico dell'Ufficio dei Regi Canali nel periodo cruciale della progettazione e poi della costruzione del grande canale. Nel momento in cui gli venne affidata la progettazione esecutiva del canale (1853) aveva acquisito una notevole esperienza nella direzione tecnica della rete di canalizzazione; non stupisce il fatto che, tenuto conto del-l'alto livello professionale ed operativo dei componenti l'Ufficio, Camillo Cavour nel momento in cui intravvide la possibilità di realizzazione concreta del grande canale abbia affidato proprio a lui, uomo di sua fiducia e con alle spalle l'efficiente organizzazione statale, la progettazione esecutiva e la realizzazione, forse facendo con ciò torto al più modesto ma geniale Francesco Rossi, che certo non aveva titoli né disponeva di strutture adeguate.
Durante la 2a guerra di indipendenza (1859) fu Noè che progettò e mise in atto un ardito disegno per fermare l'a-vanzata degli austriaci verso Torino: facendo aprire tutte le paratoie dei canali del Vercellese allagò l'intero territorio tra Sesia e Dora Baltea, gettando l'esercito austriaco nel disorientamento e nella confusione e provocandone la rapi-da ritirata (10).
Le osservazioni presentate dal Noè nella relazione non datata, ma collocabile nel 1854, citata (11), furono sostanzialmente favorevoli alla scelta del fiume Po come fonte alimentatrice sia per il potere fertilizzante delle sue acque sia per la sicurezza durante tutto l'arco dell'anno delle sue dotazioni. Qualche perplessità espresse sull'individuazione del punto di presa a Crescentino, determinata soprattutto dall'osservazione che portando la derivazione dal Po più a monte del punto indicato si sarebbe potuto far godere dei benefici dell'irrigazione una superficie maggiore di territorio vercellese e poi novarese, situata a nord della linea del canale prima indicata. Inoltre l'innalzamento verso nord del tracciato avrebbe permesso, secondo l'ing. Noè, l'utilizzazione delle acque delle rogge Mora, Busca e Biraga che, derivate dal Sesia più a nord, potevano essere distribuite per l'irrigazione dell'altipiano novarese, mentre i tratti di alveo delle suddette rogge posti a sud potevano poi essere utilizzati per convogliare le acque di Po del nuovo canale verso il Basso Novarese e la Lomellina. Infine, osservava il Noè, la costruzione del nuovo canale oltre a recare un notevole vantaggio all'agricoltura avrebbe costituito «un mezzo validissimo di difesa strategica in caso di guerra», quasi presentendo l'evento di cui si è detto poco sopra, effettivamente verificatosi durante la seconda guerra di indipendenza.
Nell'ipotesi formulata di spostare la derivazione del Po a monte di Crescentino il Noè individuava Chivasso come possibile sito, in quanto nel tratto di Po compreso tra Chivasso e Torino si incontrano ben quattro torrenti che si immettono nel fiume e che avrebbero creato grosse difficoltà idrauliche alla costruzione di una traversa di derivazione.
Chivasso dunque risultò la soluzione vincente: con legge 25 agosto 1862 finalmente venne deliberata la costru-zione e l'esercizio del canale, con derivazione dal Po in quel territorio; con la stessa legge al nuovo acquedotto venne dato il nome di canale Cavour.
La derivazione fu dunque fissata in sponda sinistra del fiume Po, a circa 400 metri a valle del ponte per la strada «postale» Torino-Casale, mediante una chiusa normale all'asse longitudinale del fiume.

La costruzione del canale

La forma scelta per il finanziamento dell'opera, per la quale era prevista una spesa salita nel frattempo a 80 milio-ni di lire, fu quella dell'affidamento, tramite concessione, dell'esecuzione dei lavori e dell'esercizio del canale stesso ad una Società di finanzieri francesi e inglesi per un periodo di 50 anni.
In realtà la scelta fatta non aveva risolto tutti i problemi: già poco tempo dopo l'entrata in funzione la fonte alimenta-trice costituita dal Po venne riconosciuta insufficiente, soprattutto durante la stagione estiva, e fu pertanto deciso di integrarla con acque di Dora Baltea. L’integrazione fu realizzata con la costruzione, nel 1868, di un breve canale, il canale Farini, che congiungeva appunto la Dora al canale Cavour.
Tralasciando le vicende giuridiche e finanziarie che caratterizzarono la costituzione, l'attività e il fallimento della Compagnia Generale dei Canali d'Irrigazione Italiani (Canali Cavour), l'organismo in origine creato dai finanzie-ri francesi e inglesi per la gestione di questo grande «affare» - vicende che meriterebbero di costituire argomento di apposito studio - si vuole qui brevemente accennare all'organizzazione e alla conduzione dei lavori.
Considerata la lunghezza dell'asta del canale (km 82,330), la sezione (40 metri nel tronco iniziale e che va riducendosi fino a 20, dal km 8,5 al km 62 e ulteriormente nella parte finale) e la portata prevista (110 m3/s, di cui 90 destinati all'Est Sesia), si ritenne indispensabile la creazione di molteplici cantieri di lavoro lungo tutto l'asse del medesimo per favorire la realizzazione contemporanea dei manufatti. Anche l'organizzazione esecutiva del personale venne dimensionata e gestita di conseguenza.
In particolare, il personale Tecnico Dirigente, alle dipendenze della Direzione Generale Tecnica della Compagnia, a Torino, era suddiviso in 4 Ispezioni, ciascuna delle quali sovrintendeva a due Riparti; tali Ispezioni erano così delimitate: la prima dal Po alla Dora Baltea; la seconda dalla Dora Baltea al Cervo; la terza dal Cervo al Sesia; infine l'ultima dal Sesia al Ticino.
A capo di ogni Ispezione vi era un Ispettore il quale aveva alle sue dirette dipendenze un ingegnere aggiunto ed un aiutante ingegnere. Agli Ispettori veniva attribuita una molteplicità di incarichi che andavano dall'alta sorveglianza della costruzione del canale all'attenta vigilanza che venissero seguite le istruzioni della Direzione Generale Tecnica, sia nelle modalità di realizzazione che nella scelta dei materiali; dagli studi riguardanti l'esercizio del nuovo canale all'assistenza per le pratiche relative alle espropriazioni dei terreni; dalla verifica dei tracciamenti alla provvista, da farsi con particolare oculatezza, della quantità di materiale e forza-lavoro operaia sufficiente all'entità delle opere richieste e altro ancora.
Ciascun riparto, invece, era diretto da un ingegnere (detto «di Riparto») al quale sottostavano i misuratori e la manovalanza operaia. Ai suddetti responsabili spettava la concreta e costante sovrintendenza delle opere, rilevando piani e stilando profili; preoccupandosi che i materiali di ogni genere fossero verificati e collaudati, visitando, poi, settimanalmente i cantieri di fabbricazione dei laterizi e ove del caso, provvedendo anche al licenziamento del personale assistente ed operaio riconosciuto inabile o turbolento (12).
Infine, solo per accennare rapidamente ai «mezzi d'opera» utilizzati lungo la linea del canale, va ricordato che, oltre agli otto cantieri di costruzione, altri quattordici erano i depositi di «considerevoli approvvigionamenti», nei quali si trovavano «le masse di materiali da costruzione» (legnami, pietre da taglio, massi di roccia e ciottoloni, ferro di fucina, calce idraulica, pozzolana e altri ancora) ed altresì un considerevole numero di macchine, utensili e materiali di riserva, lasciati in deposito dall'Impresa costruttrice.
Per approvvigionare i cantieri di laterizi vennero realiz-zate ben 76 fornaci, che provvidero alla produzione dei 120 milioni di mattoni utilizzati per la costruzione del canale.
I massi di roccia, nella quantità di 59.000 metri cubi, vennero estratti dalle colline dirimpetto alla derivazione del canale a Chivasso.
A tutti gli effetti l'imponenza, il prestigio, il valore di un'opera di tal portata non potrebbero essere correttamente valutati se non si volgesse almeno uno sguardo complessivo a quell'assetto strutturale, sopra accennato, che ne costituì il nerbo portante e ne rese possibile l'attuazione avvalendosi, peraltro, di una forza-lavoro operaia, distinta in specifici ruoli, pari alle 14.000 unità giorno.
1112 aprile 1866, a meno di tre anni dalla posa della prima pietra, a Chivasso il principe Eugenio di Savoia Carignano procedeva alla solenne inaugurazione del nuovo canale, alla presenza dei Ministri dell'Agricoltura e delle Finanze e di molte altre autorità civili e militari.
Il settimanale milanese «L’emporio pittoresco» del 19 maggio 1866 così descrive la cerimonia: «In mezzo al canale stava eretto un suntuoso ed elegante padiglione sotto cui si compievano i riti solenni. Ad un tratto il Principe dato di piglio ad una manovella, mosse il primo giro e, aperte le bocche, l'acqua si precipitò fragorosa nel nuovo sbocco apertole fra il raddoppiar delle grida di gioia e lo sparo di morta retti».
Trovava in tal modo compimento il più grande canale d'irrigazione in Italia.
Nel ventennio intercorso tra la sua prima progettazione e la sua ultimazione molti mutamenti si erano verificati nella situazione politico-economica del Paese: tra i più significativi si ricorda il compimento dell'unificazione d'Italia e la conseguente trasformazione del Piemonte da realtà statale a realtà regionale; inoltre nello stesso anno (1861) era venuto a mancare il conte Camillo Cavour, figura di primissimo piano nel processo di sviluppo dell'agricoltura italiana, vero centro propulsore delle realizzazioni irrigue piemontesi (11).
Si può pertanto affermare che i tempi maturi per la realizzazione del progetto coincisero con un momento particolarmente felice, e mai più ripetuto, per l'agricoltura piemontese: il canale Cavour può dunque essere considerato un'opera straordinaria resa possibile dalla capacità dell'ingegno umano, dalle conquiste del progresso tecnologico e dall'imperscrutabile cammino della storia.